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Vivere o sopravvivere?


“Betti, se tuo marito si accorge che stai guardando un video di un uomo muscoloso, digli che è tutto a posto!”


Inizia così il vocale di Marco, mio genero, anticipando il contenuto del video collegato al link inviatomi su WhatsApp.

Si tratta della storia di Bryan Johnson, miliardario americano, 56 anni ma ne dimostra 20 in meno, fondatore di una società che si occupa di biotecnologie, la OS Fund, che si prefigge, fra l’altro, di produrre e vendere una sorta di elisir di lunga vita.


“Potresti scrivere un articolo sul nostro desiderio di immortalità”, continuava Marco, senza nemmeno considerare che sarebbe in grado di scriverlo lui stesso, visto che Dio lo ha fornito del talento della scrittura creativa.


Nel video si vede Bryan che presenta la sua giornata, descrivendosi come la persona più controllata al mondo.

Il magnate americano vive, infatti, in una casa-clinica-palestra, monitorato h24 da costose attrezzature che rilevano i suoi parametri vitali. Intorno a lui un’equipe di 30 tra medici e scienziati che pianifica ogni minuto della sua vita, stabilisce quando e cosa deve mangiare, quali farmaci deve assumere, quali attività fisiche e mentali deve svolgere.


Assume circa cento pillole di integratori al giorno e la sua alimentazione interamente vegana è di 1.977 calorie esatte. I livelli di grasso nel suo corpo restano sempre tra il 5 e il 6%. Ha perfino tentato trasfusioni di sangue del giovane figlio nelle sue vene, con il folle tentativo di ingannare il tempo e i suoi segni. Il tutto con il generoso intento di dimostrare che la scienza è in grado di non farci invecchiare, anzi di ringiovanirci.

O, addirittura, di renderci immortali.


La morte fa paura, è scandalosa, inaccettabile.


Il pensiero della morte ci impone di riflettere su quanto abbiamo costruito durante la nostra esistenza, su ciò che perderemo lasciando questo mondo, su chi lasceremo nel dolore per la nostra perdita e soprattutto DOVE ANDREMO, sempre che arriviamo a credere che la fine della nostra vita non coincida con la fine della nostra esistenza biologica.


Bryan ha deciso di non vivere per sopravvivere.

Ha deciso di impegnarsi così tanto nel procurarsi salute, bellezza, giovinezza, sicurezza e ricchezza, che ha dimenticato che intorno a lui ci sono persone che desiderano essere amate. Il figlio è per lui un donatore di sangue, un fornitore di linfa nuova. Per il resto non saprei, visto che vive circondato da decine di medici e scienziati che lo monitorano e lo dirigono come un burattino.


La sua ricchezza lo rende schiavo.

Il suo desiderio di vita eterna sulla terra gli sta impedendo di amare.

La sua paura della morte lo tiene prigioniero nella mente e nel corpo.


Cosa se ne farà dei suoi miliardi, della sua salute, della sua pelle da venticinquenne, dei suoi muscoli e dei suoi esami perfetti quando si troverà ad incontrare la morte?

Morire sani non è una gran soddisfazione, tutto sommato.

Io spero tanto per Bryan che si renda conto che per quanto possa ritardare il momento del trapasso, prima o poi quell’istante dovrà arrivare anche per lui.


La storia di Bryan fa sussultare e ci fa desiderare di pregare per lui, perché incontri Colui che ha il copiryght della vita eterna.


Ma il desiderio di Bryan è comune a tutti noi. Desideriamo tutti avere un destino eterno, un corpo che non marcirà, che non si ammalerà, che non dovrà sopportare fatiche, sofferenze.

Ma cosa più importante, desideriamo che le nostre relazioni d’amore non finiscano mai. Desideriamo sentirci amati in questa vita ma, anche dopo.


Quali strategie mettiamo in atto, noi, per sopravvivere al pensiero della morte, della sofferenza, della malattia, della perdita di persone o cose?

A chi stiamo chiedendo di donarci sicurezza, pace, gioia, entusiasmo, stima, gratificazione?

Se la nostra ricerca non culmina in DIO, significa che ci stiamo rivolgendo ad un idolo.

Per fare alcuni esempi:

Una donna si sente trascurata dal marito e ignorata dai figli, così cerca consolazione con un altro uomo, oppure con il cibo o con l’alcool, oppure con il culto spietato del corpo, ecc. ecc.

A chi sta chiedendo sicurezza, pace, gioia, entusiasmo, stima, gratificazione?

Ad esseri umani come lei, segnati dal peccato e imperfetti, rivestendoli della carica di divinità, a cui chiedere i doni di cui sopra.  Oppure chiede di colmare il vuoto ad oggetti, emozioni, esperienze.


Altro esempio: un uomo si sente umiliato sul lavoro, le sue capacità non sono riconosciute e la sua frustrazione aumenta giorno dopo giorno perché desidera che il capoufficio lo gratifichi e si congratuli con lui; al contrario riceve solo richiami e umiliazioni.

Lo stesso esempio può essere applicato al sacerdote col proprio vescovo, allo studente con il proprio professore, all’atleta con il proprio allenatore, al figlio con il pdre o la madre, al marito con la propria moglie e viceversa.


Se poniamo il nostro desiderio di infinito, che coincide con il nostro desiderio di essere amati infinitamente e incondizionatamente, se carichiamo cioè sulle spalle di un peccatore come noi questa responsabilità, il risultato sarà devastante.

E ancora: se chiediamo ad altri o ad altro di definirci, siamo spacciati.


È solo Dio che può dirci chi siamo. Nessun altro.

Nessuno sa fare Dio come Dio.

Nessuno può essere il datore dei doni o il giudice della nostra persona.


A chi stiamo chiedendo pace, gioia, vita? A chi stiamo chiedendo chi siamo?

Allora, quando la vita sembra avere una paralisi mascellare perché non ci sorride da molto tempo, significa che dobbiamo iniziare a pregare sul serio!

“Non ci resta che pregare…”, sento dire.

“Cooooosa????!!!” Sarebbe come dire: “Sto morendo di fame, le ho provate tutte, ho elemosinato senza ritegno lungo i marciapiedi della mia città, ma ora non posso fare più nulla. Non mi resta che andare a casa di mio padre e accettare il suo invito ad attingere alla sua mensa e al suo conto in banca!”

O stolto! Non era forse la prima cosa da fare, oltre naturalmente a lasciare che tuo padre ti aiutasse a prendere decisioni sagge?


Lo capite come siamo lontani da Dio? La preghiera deve essere la parte centrale della nostra vita, dobbiamo sempre essere in collegamento con Dio, anche con piccole frasi tipo “Grazie, Padre”, “Ti amo, Gesù”, “Sei davvero un padre amorevole”, “So che sei con me adesso”, ecc.

Lui sta alla nostra porta e bussa. Lui. Che è Dio! Ma non vi fa girare la testa la sua umiltà?!

Noi desideriamo l’immortalità e Dio ce la vuole donare.

Noi desideriamo essere amati eternamente e incondizionatamente e Dio dice: Eccomi! Sono Io che ti amo così! Hai visto che ho sacrificato mio Figlio per te?

Desideriamo la pace e Gesù ci ha detto “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”: ce l’ha già lasciata, la Sua pace ci è già stata donata, dobbiamo solo allungare la mano prenderla.


Desideriamo alleggerire la nostra vita dai mille problemi e Gesù dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. Prendiamo il Suo giogo, non il nostro.

Quello di Gesù è fatto con i dieci comandamenti che si riassumono in uno: “Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi”.

Il nostro giogo invece, che pesa un sacco, è carico di tutti i nostri idoli a cui abbiamo chiesto di fare il mestiere di Dio, con scarsi risultati.

Ricordiamoci che “tutto posso in Colui che mi dà la forza”, cioè io posso fare ogni cosa che devo fare.

Non ogni cosa che voglio fare, ma che devo fare, cioè la volontà di Dio per me, adesso. Niente sarà impossibile da sostenere nella nostra esistenza

 

Vi lascio con un consiglio per gli acquisti: un libro sorprendentemente breve per la profondità dei contenuti: “Il più grande venditore del mondo”, di Og Mandino.


…Può forse la sabbia risalire in alto nella clessidra? Ieri è sepolto per sempre e io non ci penserò più: vivrò questo giorno come se fosse l’ultimo.

 

 

 

 

 

 

 

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