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Dio ha le nostre braccia.


Continua la nostra avventura in Australia, dall’altra parte del mondo, dove tutto appare “sottosopra”:

la posizione geografica (più si procede verso sud e più fa freddo, perché qui siamo sotto l’Equatore);

le stagioni, (qui siamo a dicembre ed è piena estate);

la notte e il giorno (in Italia si prega Compieta mentre qui diciamo le lodi);

il lato di guida della strada (loro guidano evidentemente dalla parte sbagliata e mettono il volante al posto del passeggero 😊);

gli orari dei pasti e della sveglia del mattino (alle 5 del mattino c’è già la fila per entrare in piscina e i parchi già brulicano di camminatori, di runner, di famiglie con bimbi nel passeggino e di cani a passeggio con i loro padroni).


Ma a noi mancava una nuova esperienza per sentirci parte di questa cultura così diversa dalla nostra, per sentirci abitanti e non turisti:


la meravigliosa ed eccitante sperimentazione della degenza in ospedale!


E non in un tempo qualsiasi dell’anno, eh no!

Alfonso ha scelto il periodo che precede il Natale e che termina con il suo compleanno, poco prima di capodanno.

È stato ricoverato per un problema improvviso di salute, senza che il suo organismo si degnasse di dare un minimo segnale di preavviso: alle 10 del mattino stavamo registrando il solito video-commento “Gospel on the beach”, sulle rive del lago dietro casa e due ore dopo mio marito si ritrova in un letto del Royal Hospital di Perth con una flebo in un braccio e l’ossigeno nel naso.


Cose che capitano.


Non mi starò a dilungare tessendo le lodi del sistema ospedaliero australiano, perché mi sembrerebbe di sparare a zero sulla nostra già malandata e sottodimensionata sanità italiana, vorrei però raccontarvi di ciò che è accaduto in noi durante questa settimana.

La nostra fede è stata messa alla prova.

Nonostante i medici fossero molto positivi, si palesava una evidente difficoltà ad identificare l’antibiotico adatto a debellare quella brutta infezione che pareva spadroneggiare senza ritegno in giro per il corpo di Alfonso.

La sua situazione altalenante faceva ben sperare al mattino, per ricadere poche ore dopo nei sintomi preoccupanti e improvvisi del batterio-nemico, fino ad arrivare alle soglie della terapia intensiva, scongiurata all’ultimo momento.


Pareva di non uscirne più.


In tutto questo, la nostra domanda scontata “Chissà perché, Signore?”, è stata sostituita con “Che cosa ci stai insegnando, Signore?”


Ci sembra di aver intuito una piccola parte del disegno, per ora vediamo solo i nodi e un’immagine confusa dell’arazzo, come diceva San Pio da Pietrelcina, perché stiamo osservando l’opera “da sotto”, cioè dalla terra e non ancora dal cielo, dove vedremo il disegno perfetto di Dio nella nostra storia, ma anche le conseguenze di ogni nostra risposta ad ogni situazione della vita.


Ciò che preoccupa di più sarà il vedere le conseguenze che si sono riversate sui nostri fratelli per ogni nostro atto senza amore, che è propriamente un peccato.


M ritorniamo al Royal: dal suo lettino circondato su tre lati da tende azzurre, nella stanza condivisa con altre tre persone, Alfonso ogni tanto mi chiedeva di “alzare il sipario”, scostando la tenda scorrevole per conoscere, anche se da lontano, i suoi “colleghi d’ufficio”.


Non c’era nessuna interazione con essi: due di loro erano praticamente catatonici, un terzo, quello alla sua destra, era un uomo cinese sempre immerso nel suo telefonino.


Ma Alfonso sapeva qualcosa di ognuno di essi.

“Vedi Betti, quella di fronte a me è Brenda: stai a vedere cosa succede quando all’ora di pranzo arriverà sua figlia”. Brenda, una creatura diafana e immobile, leggera come una bambina, con lo sguardo spento e lontano. Quale trasformazione sarebbe mai potuta avvenire in quella fragile anziana?

All’ora di pranzo si presenta la figlia, che saluta la madre con parole affettuose, come se l’anziana fosse cosciente; la stringe a sé e la bacia. Ed è in quel momento che avviene il miracolo: Brenda si illumina, i suoi occhi riprendono vita perdendosi in quelli della figlia, la sua bocca si dischiude in un sorriso commovente e pare che il suo viso emani luce.


“Hai visto, Betti? Brenda diventa luminosa!”.


Ripenso ad una nostra amica che fa volontariato negli ospedali, si presenta con il suo team vestita in modo buffo cercando di dare un po’ di sollievo ai malati. Ma la sua opera più grande è dare speranza a chi non ne ha, pregando per chi non prega più, parlando dell’amore di Dio e della sua straordinaria paternità. Amando chi è in un letto d’ospedale e che forse non sa più cosa significhi essere importante per qualcuno. Lei è una spacciatrice di rosari e di immaginette di santi, è stata inviata in missione speciale dallo Spirito Santo. Grazie Eleonora.


Quanto è importante per una persona malata sentirsi amata, ascoltata, accudita!


Poi c’è James, l’uomo nel letto in fianco a Brenda, anch’egli quasi incapace di reagire agli stimoli. A prima vista sembrerebbe un sapiente miscuglio tra Robert Redford (ma con una bella pelle) e Brad Pitt: lineamenti perfetti, un piccolo naso sotto due occhi grandi, azzurri e profondi. I folti capelli bianchissimi svelano un passato di uomo biondo e affascinante.

Mentre James dorme Il suo viso è incantevole, ma durante la veglia si trasforma in una maschera grottesca e quasi deforme.

Le infermiere lo accudiscono con amore, non cedono il passo alla rassegnazione ed ogni giorno due di esse lo stimolano a fare qualche passo con il deambulatore, al ritmo del loro “one two, one two”.


Ma esse non sono le figlie. Nessun parente è mai stato visto ai piedi del letto di James e nessuno si è mai affacciato dalla tenda azzurra dell’uomo cinese a fianco di Alfonso: ecco perché reagisce a volte con insofferenza e con rabbia alle richieste degli infermieri; ecco spiegato il suo desiderio di isolamento.

È solo. Non vuole parlare con nessuno per non sentire ancora di più il peso dell’abbandono, così si rifugia in un mondo irreale, quello delle serie tv e dei programmi dove tutti vivono “per sempre felici e contenti”.


Ora Alfonso è a casa, ma non è tornato da solo. Ha portato con sé Brenda, James e l’uomo cinese con un nome impossibile da ripetere. Ci sono anche tutti i medici e gli infermieri che lo hanno accudito con molto rispetto, professionalità e gentilezza.


C’è Father Kenneth, che ha risposto con gioia alla mia richiesta di portare Gesù Eucarestia ad Alfonso, il giorno di Natale.


Ci sono i nostri figli: chi con la presenza fisica, (Nicolò è stato nominato “official translator” e “personal health and fitness trainer”), chi con video di incoraggiamento per sostenere e stimolare la ripresa del papà. (Tea e suo Marito Marco ci hanno rallegrato con videomessaggi dei loro 6 bimbi).


Negli effetti personali da mettere in valigia, in attesa delle dimissioni, Alfonso ha messo anche tutti i messaggi, le telefonate e le preghiere, i video e i vocali degli amici più cari e delle loro famiglie.


Cosa ci hai insegnato, Signore?


Che nulla è scontato; che tutto è grazia; che se dovessimo morire oggi, l’unica domanda che vorremmo farci è “Ho chiesto perdono a tutti? Ho amato abbastanza?”


Ci hai insegnato che, se glielo permetteremo, Dio userà le nostre braccia, il nostro sorriso, le nostre parole d’amore e di incoraggiamento, le nostre preghiere, il nostro tempo, le nostre forze, la nostra volontà.

Come ha fatto con moltissimi di voi.

Dio ha le nostre braccia e il nostro cuore.

Grazie a tutti voi per averli usati.





 

 

 

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