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Missione "Downunder"





“Io, un giorno o l’altro, devo parlare con lui!”

“Alfo, c’è bisogno che ti ricordi che il nostro inglese è penoso?”

Ma lui continuava a guardare quell’uomo di nascosto, sempre più convinto del suo proposito, mentre agganciava il caschetto allo scooter appena parcheggiato fronte Scarborough beach.


“Se il Signore vorrà, se ne presenterà l’occasione”, concludo io, immaginando che probabilmente avremmo ricevuto un sonoro “fatevi i fatti vostri”, che in inglese la mia app translate descrive come “Mind your own business”.


Certo che quell'uomo incuriosiva anche me. Quasi ogni giorno lo abbiamo visto accanto al suo furgone attrezzato a camper, sul lungomare, mentre pizzica una minuscola chitarra dal suono discreto: abbronzatissimo, fisico che rivelava allenamenti costanti, costume a pantaloncino di media lunghezza. Una collana di chele di granchio bianchissime, un panama in testa che lascia intravedere i capelli corti e neri. Nessuna maglietta, non se ne sente la mancanza: il corpo è rivestito di tatuaggi dal collo ai polsi; il volto, invece, è rivestito di tristezza e solitudine.


“Chissà…lasciamoci sorprendere!” è la classica conclusione di mio marito, che sa che possiamo solo proporre al Capo quello che abbiamo nel cuore, poi sarà Lui a disporre ciò che desidera, in un modo in cui non immaginiamo.

Ed è sempre meglio di ciò che pensiamo. Diciamocelo: come sa fare il suo lavoro Dio, non lo sa fare nessuno!


E così continuiamo la nostra missione qui in Australia, dimenticandoci del musicista e pensando alla prossima testimonianza che faremo al gruppo di carismatici “Disciples of Jesus”.

Siamo qui per aiutare nostro figlio Nicolò e sua moglie Laura, che prima di Natale partorirà il loro terzo bambino, ma il Signore non ci lascia mai inattivi: ci mette sul cammino fratelli come questi, che ci invitano a condividere la preghiera, che ci aiutano a mantenere la vita comunitaria in Cristo e che ci ricordano il significato del nostro mandato: parlare della potenza del Sacramento del matrimonio e della Misericordia di Dio che fa Nuove tutte le cose. Anche in un altro emisfero. Anche in un’altra lingua, perché lo Spirito Santo, nella preghiera, parla attraverso i cuori.


Uno dopo l’altro passano i giorni, tra l’oceano, le gemelline Scarlett e Willow e le Sante Messe nella chiesa sotto casa. Poi, durante un fine mattina tra i più caldi mai visti, mi si avvicina un australiano mentre stendo l’asciugamano sul prato inglese all’ombra di un albero appena dietro la spiaggia.

Mi parla velocemente, noncurante del mio “Sorry, we don’t speak English. Please, repeat more slowly…”


Cerco di capire qualche parola osservando il movimento veloce e articolato della sua bocca, che è lo stesso di quando io mangio le mie gommose bacche di goji disidratate. Ascolto fingendo un’aria intelligente, poi mi rivolgo ad Alfonso col fare da saputella: “Mi sa che ce ne dobbiamo andare, devono montare qualcosa per fare non so cosa. Hanno bisogno del prato.”


“No. Ha detto che potete restare. Ci vorrà ancora del tempo.”


Era lui. Era stato fino a quel momento seduto alle nostre spalle. Avevo sentito il suono della chitarra minuscola, ma l’uomo era così preso dallo studio dello strumento che non avevo osato rivolgergli la parola.

Si era espresso con un perfetto accento partenopeo.


“Sei di Napoli!”, esclamo, buttandomi alle spalle i miei progetti su come attaccare bottone con un orso australiano triste e solitario.

“Sì, sì, di Napoli”

E a quel punto Alfonso e io ci avviciniamo, lasciando dietro noi il team dei montatori di una struttura che sarebbe servita a non so cosa.


Si presenta e ci racconta di sé. Alfonso e io siamo molto interessati alle storie delle persone che hanno lasciato l’Italia per venire in Australia. Ascoltandoli ci sembra di comprendere un po’ più a fondo l’esperienza di Nicolò e Laura.

Ciro sembrava un fiume in piena. All’inizio i racconti delle sue esperienze erano dettagliati di luoghi geografici e date ben precisi, come un elenco di una brochure per turisti.

Poi il suo cuore comincia ad aprirsi e dopo la prima ora di racconti, dice quello che non avrebbe dovuto dire. Pronuncia il nome al di sopra di ogni altro nome. Per noi è un’offerta imperdibile, un invito a nozze!


“Quella volta a Rio de Janeiro sono stato salvato da morte certa. Stavano per spararmi alla testa in un vicolo e mentre ero in ginocchio in attesa della morte pensando “guarda se devo morire come uno str…in questo buco del mondo” (in napoletano la frase ha un effetto molto più incisivo) è arrivato un amico e mi ha salvato, rischiando la sua stessa vita. Sarà stato Gesù, o qualche altro santone che ha mandato il mio amico a salvarmi con un tempismo perfetto. O Gesù o qualche altro santone, non so, perché io non lo conosco…”


“Noi sì!!!”


“Come, scusa?”

“Noi sì che lo conosciamo, Gesù! Ci ha salvati, è venuto a prenderci quando pensavamo di essere arrivati al capolinea della vita”. (Eh bè, l’occasione era perfetta).


Ciro si mette in posizione di ascolto e non ci stacca gli occhi di dosso mentre raccontiamo la nostra vicenda.

Ci interrompe solo una volta, a metà racconto, perché la nostra testimonianza aveva fatto affiorare un ricordo preciso:

“Io ho capito a 41 anni l’importanza del perdono. Ho vissuto in giro per il mondo dai 18 anni in su, vivendo della mia musica e cadendo in dipendenze terribili. Sono vivo per miracolo. Tutto questo per fuggire dalla presenza di mio padre, che non mi ha mai ascoltato, mai compreso, mai sostenuto, mai permesso di realizzare i miei sogni. Non mi ha mai accettato per quello che sono. Io non corrispondevo all’idea di figlio perfetto che era nella sua testa. Mio padre aveva mosso tutte le sue conoscenze per trovarmi un posto in fabbrica: il posto fisso. A quel punto sono scappato. Due anni fa sono tornato in Italia e gli ho detto quanto avessi sofferto per causa sua. Abbiamo pianto insieme. Mi ha chiesto perdono tra i singhiozzi. L’ho perdonato. A quel punto mi sono sentito finalmente libero. Sono sempre in ricerca della verità. Spero di trovarla”.


Alfo e io abbiamo pensato ed espresso la stessa cosa nello stesso momento:

“Sei ad un passo da Gesù!”

“Ma io sono solo. Non riesco a relazionarmi con nessuno. Sono stanco dei discorsi superficiali…”


Alfonso gli parla della possibilità di lasciare ogni peso sulle spalle di Gesù, e gli ricorda che nella sua storia Dio è sempre stato presente, in ogni circostanza, grazie probabilmente alle preghiere della sua mamma molto credente.


A quel punto si erano fatte le 3 del pomeriggio. I 38 gradi cominciavano a farsi sentire, non ci pareva possibile che fossimo lì a parlare con uno sconosciuto che ora chiamiamo fratello da tre ore buone.

“Ciro, ora dobbiamo andare. Ti chiediamo però di darci la possibilità di pregare per te”.

Lui accetta, per niente sorpreso, come se avessi detto “possiamo offrirti un caffè?”


Il cerchio si stringe, ora siamo molto vicini, tutti e tre seduti sulle ginocchia a guardarci negli occhi. Alle nostre spalle, lo sfondo dell’oceano e dei montatori di non so cosa sparisce.

Iniziamo con una preghiera spontanea a lodare il Signore per la vita di Ciro, per la sua storia, per la sua presenza di padre buono; chiediamo di illuminare la sua mente e di guarire le sue ferite. Invochiamo lo Spirito Santo chiedendo una nuova Pentecoste, un’abbondanza di doni e carismi perché Ciro possa essere un messaggero dell’amore di Dio, un testimone della sua grazia infinita, con il cuore infiammato d’amore per Dio e per i fratelli.


Terminata la preghiera Ciro resta abbracciato a noi per qualche decina di secondi, poi, commosso, dice: “Avevo bisogno di questo proprio in questo momento. Prima di parlare con voi mi stavo chiedendo che senso avesse la mia vita. Credo che questa sia stato il segno di un nuovo inizio!”


Noi non sappiamo come finirà questa storia, se Ciro deciderà o meno di seguire il Maestro, ma sappiamo che l’annuncio è stato fatto, il kèrigma, e il suo cuore ha scoperto una via nuova che non immaginava.


Ora la decisione spetta solo a lui.

Giovedì prossimo andremo lungo la spiaggia per sentirlo suonare con la sua band la musica brasiliana di cui è amante ed esperto.

Ci sarà anche Gesù, perché Lui non lascia mai le sue pecore tra i rovi, si ostina a cercarle chiamandole a sé con parole d’amore.

Sempre. Ovunque. Servendosi di chiunque. Perché il nostro è il Dio dell’impossibile!

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